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Cos'è il dolore?

Pubblicato il 14/04/2020
Definizione, misurazione e classificazione. La rete regionale delle Terapie del dolore dell'Emilia-Romagna

Definizione del dolore

La IASP (International Association for the Study of Pain - 1986), ovvero la più prestigiosa associazione internazionale di terapia del dolore, definisce il dolore come ‘’un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno’’.

Il dolore è quindi un’esperienza soggettiva ed individuale.

E’ il risultato di una complessa interazione tra lo stimolo puramente sensoriale (stimolo doloroso) e fattori legati alla persona (ambientali, culturali, religiosi, affettivi, genetici) che possono modificare in maniera importante quanto percepito.
Infatti, il segnale doloroso, una volta generato, viene modulato (ridotto o amplificato) a vari livelli del sistema nervoso prima di arrivare ad essere percepito. Si spiega così come il dolore sia il risultato di un complesso sistema di interazioni, dove molti elementi ne definiscono intensità e caratteristiche

Per queste ragioni è difficile identificare utilizzare sistemi di valutazione oggettivi la misura di un parametro che, per sua stessa natura, è soggettivo.
Se vogliamo trattare il dolore in modo efficace, è necessario comunque misurarlo, utilizzando strumenti adeguati, efficaci e validati dalla letteratura.

Perché misurare il dolore e come misurarlo?

La misurazione del dolore permette di:

  1. valutare il livello di dolore attuale
  2. analizzare l’andamento del dolore nel tempo
  3. scegliere l’approccio terapeutico più adeguato
  4. monitorare gli effetti del trattamento scelto
  5. utilizzare un “linguaggio comune” tra operatori sanitari per un approccio condiviso nella gestione del dolore.

Gli strumenti più affidabili sono le scale del dolore

Le scale possono valutare semplicemente l’intensità del dolore (scale unidimensionali), che sono le più utilizzate nella pratica cinica per la loro semplicità,  o valutare oltre l’intensità altre caratteristiche del dolore: sede, durata, etc (scale multidimensionali).

Possono essere di “autovalutazione” oppure “osservazionali “

Nelle scale di autovalutazione, più adatte in quanto il dolore è soggettivo, il paziente valuta il proprio dolore definendolo in un intervallo numerico da 0 a 10 dove 0 è nessun dolore e 10 il massimo dolore immaginabile (scala NRS) oppure tracciando un segno su una riga di 10 cm nel punto corrispondente al proprio dolore (Scala VAS). Nel bambino di età superiore ai 3 anni viene utilizzata la scala delle faccine di Wong Baker.

Nelle scale  osservazionali è l’operatore che valuta il dolore su scale che danno un punteggio in base ai segni osservati (espressione del viso, posizione degli arti, vocalizzazioni, segni fisiologici, etc) . Queste ultime vengono utilizzate nei neonati, nei bambini in età prescolare, negli anziani con disturbi cognitivi e demenza e sono specifiche per età. In generale le scale osservazioni sono utili nei pazienti che non sono in grado di comunicare il proprio dolore.

Possiamo individuare diverse tipologie di dolore e classificarlo?

Possiamo distinguere almeno il dolore acuto dal dolore cronico per caratteristiche eziopatogenetiche, cliniche, di durata, di approccio e risposta al trattamento.

Il dolore acuto ha funzione di allerta, avvisa l’individuo che la sua integrità può essere in pericolo, è limitato nel tempo e ha una localizzazione precisa. Può anche essere utile a scopo diagnostico, ma deve essere trattato il più precocemente possibile (colica renale, colecistite acuta, etc)

Esempi di dolore acuto che può essere ridotto sono Il dolore post-operatorio e post-traumatico. Entrambi  hanno molte opzioni terapeutiche efficaci. Il mancato o inadeguato trattamento non è giustificato e può avere conseguenze gravi in termini di outcome a breve e lungo termine.

Il dolore cronico è un dolore presente da oltre 3 o 6 mesi a seconda degli autori,  causato dal persistere dello stimolo dannoso ma anche da fenomeni di automantenimento sostenuti da meccanismi attivati a livello del Sistema Nervoso centrale anche quando lo stimolo che lo ha generato si è fortemente ridotto o è scomparso.

Le cause più frequenti di dolore cronico sono le patologie osteoarticolari artrosiche, reumatiche, le malattie metaboliche, vascolari, neurologiche e le neoplasie.

Si associa a depressione, limitazioni fisiche e relazionali. Il trattamento è complesso e a volte richiede un approccio specialistico multidisciplinare.

Qual è la prevalenza del fenomeno?

Il dolore rappresenta uno dei principali problemi sanitari a livello mondiale sia per l’invecchiamento della popolazione sia per l’aumento delle patologie cronico degenerative (osteoarticolari, neurologiche e vascolari) e dei tumori.

E’ fra tutti il sintomo che più mina l'integrità fisica e psichica del paziente e più angoscia e preoccupa i suoi familiari, con un notevole impatto sulla qualità della vita. Il dolore cronico in particolare comporta il maggiore impatto socio-economico e sanitario per le conseguenze legate alla disabilità e alle assenze dal lavoro.

Ha una prevalenza nella popolazione generale di circa il 20% in Europa e del 25% in Italia: vale a dire 1 persona su 4/5. La causa di gran lunga più frequente è l’osteoartrosi.

La valutazione e il trattamento del dolore costituiscono una buona pratica sanitaria. La legge 38 del 2010 ne sancisce definitivamente l’obbligo in tutti gli ambiti assistenziali, ospedalieri e territoriali.

E’ noto infatti che il controllo del dolore consente di ottenere una ricaduta positiva sull’outcome del paziente, una migliore risposta al trattamento della malattia di base,  consente di prevenire invalidità secondarie e ottenere un significativo miglioramento della qualità di vita.

La Rete Regionale delle Terapie del dolore

La presa in carico del paziente con dolore richiede la realizzazione di un modello organizzativo di reti cliniche integrate.

I nodi della rete sono stati sanciti dal documento approvato in Conferenza Stato – Regioni il 25 luglio 2012 e sono i Centri Hub, i Centri Spoke Ospedalieri e l’attivazione del livello assistenziale territoriale garantito dai MMG attraverso un necessario iter formativo.

I Centri HUB devono garantire l’erogazione di procedure invasive anche in regime di ricovero con letti propri, apertura minima h12 e reperibilità h 24.

I Centri Spoke sono strutture ambulatoriali ospedaliere dove vengono garantite prestazioni anche invasive ambulatoriali con orario minimo di 18h settimanali.

La responsabilità del Centro Hub o Spoke viene attribuita per legge ad un medico specialista in Anestesia e Rianimazione.