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Chi è il Caregiver familiare?

Pubblicato il 27/02/2023

Il Caregiver è la persona che fornisce cure continuative e assidue ad un soggetto
“fragile”. Spesso la fragilità della persona accudita, riduce le autonomie e le abilità della vita quotidiana. Il termine Caregiver tradotto significa -colui che si prende cura-.

Il caregiver è solitamente un familiare, ed è quella figura sulla quale l’altro si appoggia e di cui ha fiducia. Si stima che in Italia siano circa tre milioni le persone che si occupano direttamente o indirettamente di un malato da assistere.

Due sono gli aspetti che gravano principalmente sul caregiver:
- il coinvolgimento emotivo:
il legame di affetto alcune volte complica l’adempimento del compito, in quanto il caregiver si sente coinvolto emotivamente in prima persona: vedere che la demenza sta cambiando il proprio familiare dal punto di vista cognitivo, funzionale, comportamentale e caratteriale è fonte di un grande stress emotivo
- il cambiamento della propria vita e la fatica fisica
il caregiver si trova a dover modificare, conciliare, incastrare e far convivere la propria vita con la cura del proprio caro, il tutto condito da tantissime ore dedicate all’assistenza che comportano anche una grande stanchezza fisica

Ci sono forti emozioni nel caregiver, è necessario imparare a “chiedere aiuto” e iniziare il percorso di accettazione della malattia del proprio congiunto.

Purtroppo non ci sono formule magiche da seguire, ognuno è chiamato a vivere e a effettuare un proprio ed unico percorso personale nell’affiancare un parente nella demenza.

Il familiare che accudisce:

  • ha bisogno di capire molto bene l'evoluzione della malattia
  • ha bisogno di tempo per sé
  • ha bisogno di avere amici
  • ha bisogno di consolazione
  • ha bisogno di avere una rete sociale 
  • ha bisogno di appoggiarsi ai servizi


Il percorso di accettazione della malattia implica diverse fasi molto difficili e spesso lunghe, la Regione Emilia-Romagna nel libro “Non so cosa avrei fatto oggi senza di te” (il link al libro è in fondo a questa pagina) ha identificato alcune fasi del processo di accettazione della malattia: una fase iniziale in cui c'è una sorta di shock di incredulità che corrisponde spesso al momento della diagnosi, dopo una fase di incredulità ci si trova spesso di fronte a momenti di conflitto e di rabbia perché non si comprendono e non si accettano i cambiamenti del paziente, insieme a sentimenti come l'impotenza, l'incredulità, lo sfinimento, la paura e la tristezza perché la persona con la quale avevamo a che fare prima è come se…. fosse svanita.

Per il caregiver è complesso elaborare queste emozioni, ed è più facile quando in questo percorso è accompagnato da un amico, da un suo pari in un gruppo di auto mutuo aiuto, da uno psicologo, da un assistente sociale o da altre figure che possono stargli vicino. Le associazioni (aggiungere il link) dei familiari a favore dei familiari e del malato, sono molto importati in questo senso, sia perché hanno sviluppato gruppi di sostegno, varie situazioni di socializzazione e momenti di aggregazione, sia perché permettono di sentirsi meno soli.

…..non chiudersi in se stessi e non isolarsi, ma aprirsi agli altri. Condividere con altri le proprie esperienze e sentire le esperienze altrui fa tessere una rete di aiuto molto importante: lo stress diminuisce, si possono fare nuove esperienze, si osservano nuovi punti di vista, nuove strategie…..ci si sente più forti, meno soli, meno diversi…


…….E’ normale sbagliare o sentirsi in colpa.


“non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto: non siamo supereroi, il carico di stress fisico, mentale ed emotivo può essere molto forte. Prima di soccombere possiamo e dobbiamo chiedere aiuto e/o sostegno a parenti e amici. Ma possiamo e dobbiamo anche rivolgerci ai gruppi di aiuto territoriali, mmg, CDCD, assistenti sociali che possono dare consigli su come affrontare una determinata tematica, informare e indirizzare verso i servizi necessari, prescrivere se necessario la terapia idonea ad alleviare i sintomi della demenza. Tutto questo è valido sia per le difficoltà che vediamo per il nostro caro, sia per le difficoltà che viviamo noi stessi in relazione alla malattia del nostro caro…..”


Sono tante le emozioni del familiare durante questo percorso di continuo cambiamento della persona malata di demenza, occorre necessariamente adattarsi e trovare nuove soluzioni, nuove strategie e questo rappresenta una sfida perché il familiare e tutta la famiglia del malato, deve ricostruire, e co- creare di volta in volta un nuovo equilibrio.


“ è bene ricordarsi che per essere in grado di aiutare, dobbiamo stare bene. Quindi per prendermi cura dell’altro, devo prima prendermi cura di me stesso. E’ importante quindi ritagliare del tempo per se stessi e svolgere quelle attività che rigenerano la persona (ognuno ha le proprie….), che danno nuove energie. Lo stare 24 ore su 24 a contatto con una persona colpita da demenza, vivere una vita in funzione di questa persona è controproducente: se mi esaurisco non posso aiutare l’altro, ma avrò bisogno di aiuto anche io!!!!”

“ io devo conoscere la malattia, i dottori mi devono spiegare cosa significa questo sintomo, quella parola difficile, in modo da capire e per anticipare ciò che può accadere; solo così noi caregiver possiamo povare ad essere pronti…” un caregiver
Nella relazione di aiuto, è utile per il familiare, conoscere la malattia e i sintomi, (aggiungere il link del notro sito) e cercare di comprendere tutte le modificazioni psicologiche cognitive e comportamentali del paziente, anche perché alcune volte questi comportamenti diventano molto difficili da gestire (BPSD) (aggiungere il link del notro sito). In alcune situazioni questi cambiamenti possono provocare un senso di vergogna, o produrre nel caregiver un grande disagio.


Occorre mantenere i momenti di socializzazione e cercare di contrastare il progressivo isolamento.
La quotidianità può diventare un macigno, ci può essere rabbia verso se stessi ma anche rabbia verso il malato; spesso perché il Caregiver è molto stanco e frustrato, dorme poco e ha poche possibilità di confrontarsi con altri che hanno le stesse problematiche.
Il familiare può avere reazioni eccessive, esagerate e poi sentirsi di aver esagerato e avere rammarico. Il senso di colpa ha spesso a che fare con le aspettative che ogni individuo ha rispetto al suo ruolo e rispetto all'altro; il caregiver mette un grande impegno nel suo ruolo e quando non si sente all’altezza, si espone al sentimento della colpa, credendo di non aver fatto abbastanza; altre volte possono emergere sentimenti di depressione accompagnati a difficoltà a vivere la quotidianità, con senso di isolamento e di solitudine.
“La cura” di un altro individuo, è un percorso molto difficile che può compromettere il benessere e la salute del caregiver e indirettamente anche del malato, perciò ogni caregiver ha il dovere e il diritto di tutelarsi, di volersi bene e di ricevere sostegno per riuscire a stare bene.
La persona fragile: il malato

“La sensazione di essere ottuso fa molto parte dell’Alzheimer. Dimenticare le cose, anche se non va sempre così male, ci sono alti e bassi. Quando prendo un grosso granchio tendo a mettermi sulla difensiva, perché mi vergogno di non sapere quello che avrei dovuto sapere….”

Il malato passa una fase nella quale ha consapevolezza di malattia, si chiama insight: intuizione, introspezione..Si accorge che qualcosa non funziona più come prima, che la memoria sta scomparendo, che viene e va, che le parole non si trovano, che i luoghi si confondono e che i sentimenti di identità sbiadiscono..

Chi sono io ?
Probabilmente non potremmo mai capire esattamente cosa prova una persona che perde le competenze cognitive ed affettive, quello che possiamo sapere ci è dato dall’osservazione diretta, dalle conoscenze teoriche sulla psiche dell’uomo e da alcuni scritti di pazienti che hanno annotato la loro storia nelle prime fasi di malattia.
L’empatia e il senso di immedesimazione possono aiutare i caregiver a mettersi nei loro panni, ma sarà solo un tentativo, il più simile alla verità. Probabilmente molti di loro hanno paura, confusione, rabbia, vergogna, c’è il bisogno di negare la malattia e i meccanismi di difesa psichici sono attivi. Negazione, rimozione, svalutazione, servono al malato per andare avanti e mantenere il senso del se’ e il senso dell’Io.

Possiamo considerare normale che il malato neghi di aver spostato un oggetto o fatto un pasticcio: per prima cosa probabilmente è dispiaciuto, poi tende a non ricordarlo; in più dobbiamo considerare che ogni individuo ha il bisogno di conservare di sé una immagine di “brava e buona persona”, competente e capace, perciò diventa spontaneo negare anche le cose più evidenti.
Ricordiamo che il malato come ogni persona ha bisogno di essere rispettato, amato, ha bisogno di sentirsi ammirato, di sentirsi utile e apprezzato durante tutte le fasi della malattia.