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Assistere Ascoltando

Pubblicato il 16/11/2012
Un confronto tra cultura e prassi dell'assistenza a chi se ne sta andando. Un evento organizzato dalla cooperativa sociale CADIAI.
Convegno

Il tema del fine vita è impopolare in una società che considera la morte come un accadimento assurdo, un fallimento inaccettabile. Una società che declina la mistica della giovinezza e della forma fisica in tutte le possibili varianti, dove vecchio è sempre una parola offensiva e un ottantenne dovrebbe sforzarsi di dimostrare tutt’al più quattro volte vent’anni. In una società come questa il rifiuto culturale della morte si accompagna a un’aspettativa sproporzionata nell’efficacia della tecnologia e della medicina, che oggi sono davvero in grado di prolungare il processo del morire anche nelle malattie inguaribili.

Il Manifesto of the care of the elderly 1990 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di usare, per una cura adeguata nel fine vita, “il massimo della tecnologia possibile” insieme a “una profonda e sentita umanità”. Ma non sempre la tecnologia viene usata adeguatamente e non sempre la presenza di umanità accompagna il fine vita del morente.

Sono perciò in aumento situazioni “prive di dignità”, che periodicamente affiorano anche alla coscienza pubblica. Come sottolinea Lorenzo Boncinelli, valente cardiologo e geriatra fiorentino, difesa della vita non può significare opporsi sempre e comunque alla morte, anche a costo di rendere disumana la vita. Spesso il ricorso a cure estreme produce soltanto sofferenze insostenibili e inutili.

La morte è un evento naturale come la nascita, fa parte del ciclo biologico di tutti gli esseri viventi: sono i sintomi negativi della malattia che vanno combattuti, il dolore acuto e cronico, la sofferenza emotiva del morente e di chi gli sta accanto, se si vuole che la morte ritrovi una sua naturale dignità.